Difficile dare una definizione unica a un argomento così complesso, possiamo però definire, semplificando, l’educazione al genere come un approccio inclusivo libero da stereotipi che permetta a bambine e bambini di esprimersi liberamente nel loro percorso di crescita e autodeterminazione.
È importante infatti lavorare in questo senso fin da subito, anche con una fascia di età apparentemente neutra come quella 0/6, per portare e far portare alcune riflessioni su come la nostra società si strutturi e costituisca nella violenza patriarcale che sfocia poi in quei atteggiamenti aggressivi più o meno macroscopici quotidiani che caratterizzano la nostra società.
Partendo quindi da piccolissime abitudini culturali su cui spesso e volentieri non ragioniamo, possiamo avere un approccio educativo preventivo della violenza di genere.
Le bimbe e i bimbi nascono e crescono immers* in una enorme quantità di stereotipie culturali che fondano e determinano poi il loro modo di vedere a se stess* e di relazionarsi con il mondo.
Fare educazione al genere significa quindi non solo mettere in luce queste dinamiche sommerse ma anche e soprattutto muoversi per destrutturarle e ribaltarle in modo da rendere davvero libero e in costruzione autonoma il percorso di crescita di ogni individuo.
Come si sviluppa l’identità di genere
Il termine “genere” si sviluppa negli Stati uniti,negli anni ‘60,quando due medici hanno voluto distinguere “l’orientamento psicosessuale ( gender) di una persona dal suo sesso anatomico ( sex)”.
Con “identità di genere” possiamo indicare invece in modo estremamente semplificato la percezione che ciascun* ha di sé in quanto maschio o femmina o altro.
Se il sesso biologico assegnato alla nascita corrisponde con la percezione che la persona ha di sé si definisce quella persona cisgender, se invece il sesso assegnato alla nascita non corrisponde con la percezione di sé parliamo di transgender.
Per uscire però dalle schematizzazioni binarie a cui siamo da troppo tempo abituat* possiamo pensare però al genere come a uno “spettro”.
L “intreccio di generi” ( da : “il bambino gender creative di Diane Ehrensaft) da cui è costituito il mondo ci raffigura come sin dalla primissima infanzia il genere abbia una dimensione complessa e tridimensionale che si può manifestare in una grande quantità di modi anche ne* bimb* molto piccol*.
Ma da quando si può parlare di identità di genere?
Si può parlare di identità di genere sempre.
L’identità di genere è qualcosa che ci appartiene perché determina chi siamo come persone. Non è qualcosa che ci viene dato o si acquisisce nel tempo.
Altra cosa è la consapevolezza della propria identità che chiaramente può formarsi e maturare negli anni se ci è permesso di esprimerci e autodeterminarci in un contesto libero e non strutturato.
Per quanto riguarda la fascia di età con cui lavoriamo, sono certamente possibili casi in cui un* bimb*, anche ben prima dei 6 anni, manifesta di non identificarsi con il sesso biologico che è stato assegnato alla nascita.
Persone, anche in piccolissima età, che mostrano esplorazioni del proprio sé non conformi a quelle che ci si aspetta e che magari appena iniziano a verbalizzare cominciano a dire di sentirsi di appartenere a un altro genere.
In Italia soprattutto, causa anche la grande mancanza di informazione e linguaggio corretto e l’enorme pregiudizio che ruota intorno a questi temi, non ci sono stime accurate ma non crediamo sia nemmeno così importante definire un numero, pensando a queste persone come fossero entità distinte da tenere sotto osservazione.
Quello che dovremmo fare come società è semplice: ascoltare, osservare e rispettare ogni essere umano in quanto tale, accogliendo, senza paura ma con la corretta informazione, quello che questi piccoli esseri umani ci mostrano di loro stess*.
Educazione di genere e pedagogia della differenza a Bologna
Cargomilla crede nella libera espressione e autodeterminazione di ogni essere umano, anche delle più piccole e dei più piccoli, e lavora per proporre un modello basato sul rispetto dei tempi, dei bisogni e della diversità individuale, riportando sempre poi al gruppo la potenza e la ricchezza del pluralismo che esiste nel mondo.
Anche per questo inseriamo nel nostro progetto l’educazione al genere, intesa come possibilità di mostrare alle bambine e ai bambini che esiste nel mondo una fluidità dentro la quale si possono muovere, imparando senza paura ad ascoltarsi e accettarsi per quello che si è è e di conseguenza allenare un ascolto empatico e accogliente anche nei confronti delle altre e degli altri.
Vogliamo portare l’attenzione sul rispetto degli spazi, anche fisici, che ogni persona deve avere il diritto di reclamare in libertà.
Educazione al genere che passa necessariamente attraverso una attenta educazione al consenso perchè il corpo di ogni persona è solo di quella stessa persona, che ne determina confini, dimensioni e colori.
E non può prescindere nemmeno dall’attenzione che poniamo al linguaggio, scritto e parlato, nel quotidiano. Linguaggio che sarà il più possibile ricco e composto da quella stessa pluralità che vogliamo raccontare, un linguaggio non escludente e curato , in osservazione di quelle che sono anche le dinamiche socio culturali che ci ruotano intorno.
Pensiamo ad un approccio che utilizzi come strumenti letture e laboratori adatti all’età con cui lavoriamo in collaborazione con varie realtà esistenti a livello cittadino, apriamo le porte del nostro spazio a tutte quelle realtà, di movimento e autogestione, che ogni giorno si impegnano a portare questa lotta nelle piazze e nella città.
E noi stesse, come Cargomilla, attraversiamo quelle stesse piazze sia nelle giornate che ci ricordano di viverle (25 Novembre, 8 Marzo, Rivolta Pride..) e tutti i giorni , con i nostri viaggi in outdoor.
Sarà infatti sempre e comunque l’esperienza quotidiana a fornirci lo stimolo per ragionare e lavorare su questi temi.