Quante volte abbiamo sentito parlare di istinto materno? Quante volte le persone con vulva e vagina si sono sentite in difetto perché magari quel famoso istinto materno non lo sentivano proprio?
Come associazione che si occupa di infanzia, ma anche di sostegno e formazione alle persone adulte di riferimento, è per noi fondamentale mantenere alta la riflessione su quelle tematiche che spesso, senza accorgercene nemmeno, vanno a consolidare strutture sociali marginalizzanti e discriminatorie verso chi si sente differente dal pensiero dominante.
Abbiamo chiesto quindi a Valentina Maistri, amica, ostetrica e transfemminista, di scrivere un articolo per il nostro blog, in cui affrontare la spinosa questione dell’istinto materno, cercando ancora una volta di decostruire e portare un punto di rottura nell’ordine costituito.
Buona lettura !
Un istinto è una “tendenza innata e potente che accomuna tutti gli esseri viventi e i soggetti di una stessa specie”. L’istinto materno, narrato in questo modo, semplicemente non esiste.
Cosa si intende per istinto materno?
L’istinto materno pare essere quel moto, innato e viscerale, che porta una donna, o meglio, una persona portatrice di utero senza distinzioni di sorta, ad un desiderio di prole tale da farne dipendere la propria felicità e realizzazione.
L’istinto materno ti fa nascere imparata ad accudire, a prenderti cura, a consolare, al multitasking (ringraziamo capitalismo & patriarcato anche per questa perla!), l’istinto materno fa coincidere quasi tutta la felicità con la realizzazione di questi compiti.
Premessa, non c’è nulla di sbagliato in nessun modo di ricerca della felicità, purché, sia etico e frutto di una scelta consapevole e personale.
Ma qui non parliamo di scelte, qui parliamo di ruoli calati dall’alto, parliamo di carico mentale, parliamo di lavoro di cura non pagato, parliamo di una struttura economica e sociale che ti vende la rinuncia a te stessa in cambio dell’assolvimento del tuo ruolo di madre nella società.
Secondo la filosofa e femminista Badinter, il mito dell’istinto materno ha origine del XVIII secolo, siamo sopravvissute 18 secoli senza istinto e siamo comunque ancora qua. In quei secoli, comunque, avviene l’esaltazione dell’amore materno come valore naturale e sociale poiché favorevole alla sopravvivenza della specie e della società. Infatti, la mortalità infantile era estremamente alta, e incentivare le cure alla prole ne aumentava la probabilità di sopravvivenza, aumentando quindi anche la disponibilità di futura forza lavoro (altro investimento sul futuro della società).
Ma non c’è solo l’aspetto economico, secondo Badinter, anche le contemporanee a quest’epoca riflessioni filosofiche, e in particolare, gli ideali illuministi di uguaglianza e felicità individuale, hanno contribuito alla creazione di questo costrutto che è arrivato poi a noi come “istinto materno”.
L’uguaglianza, intesa come uguaglianza tra uomini di diverse classi sociali, ha favorito collateralmente un certo riconoscimento della donna-madre, che, investita di questo ruolo, ottiene un suo spazio di libertà nella cura della prole. Ma non solo. Avviene la sovrapposizione tra felicità individuale e amore, tra amore e matrimonio. E, qual è il culmine di un amore così se non la procreazione? Avviene di fatto la sovrapposizione tra felicità individuale e procreazione, rendendo così la maternità l’obiettivo più invidiabile a cui una donna può aspirare.
Il romanticismo infine consacrerà la maternità come unico e vero valore della donna. L’istinto materno risulta così un costrutto, anche di natura recente, realizzato da uomini per altri uomini nella cornice di una cultura capitalista e patriarcale.
Come mai non ho l’istinto materno?
Date delle aspettative universali e irraggiungibili, avremo un sofficissimo senso di colpa di cui si nutrono moltissime persone che sono diventate madri nella nostra cultura e società.
Perchè se l’aspettativa è amare sempre e incondizionatamente, sacrificarsi sempre e comunque con il sorriso, non essere mai più la propria priorità, farcela da sola, non sbagliare mai, assicurare serenità e cura a tutti i membri del nucleo familiare, garantire loro un porto sicuro, ma anche un piatto caldo e una casa pulita e in ordine, come si può davvero farcela?
Non sono molte le persone al mondo che godono di questo sacrificio di sé.
Per tutte le altre diventa un posto stretto in cui comprimersi, diventa il famoso passo indietro grazie al quale qualche altra persona potrà sbocciare. Il mito della super mamma, il multitasking, la propensione alla cura e all’empatia stanno tutto dentro a quel passo, a quel retrocedere.
Nella mia crescita, uno dei momenti più di rottura con la mia infanzia è stato quando ho capito che le mie figure adulte di riferimento non erano solo “mamma e papà”, ma erano persone a tutti gli effetti.
E io mi chiedo spesso, come sarebbe stata la mia vita se lo avessi saputo subito?
Se non avessero voluto essere per me eroe ed eroina, ma persone che hanno provato a fare sempre del loro meglio, che hanno preso a volte decisioni difficili, che non sempre sono stati felici di farle, che a volte invece hanno scelto loro stessi, perché nella loro serenità poteva nascere anche la mia.
Avevo bisogno davvero di eroe ed eroina o avrei preferito imparare, secondo il loro esempio, ad autodeterminarmi, a prendermi cura di me stessa, magari anche a celebrarmi?
Istinto materno senza figli
Non ho mai creduto che maternità e gravidanza fossero sinonimi. Non tutte le persone che partoriscono o che contribuiscono con il loro sperma di punto in bianco si ritrovano davanti ad un test di gravidanza positivo a poter rivestire quel ruolo, sentendo il primo movimento proveniente dalla pancia o al primo vagito.
Alcune di queste persone si sentiranno in grado in un momento casuale della loro crescita, altre in occasioni per loro significative, altre non ci si sentiranno mai e magari non era neanche nei loro obiettivi sentirsi così.
La gravidanza è un percorso di trasformazione fisica, ormonale, posturale.
La gravidanza produce un piccolo essere umano.
La maternità e la paternità, ma anche meglio, la genitorialità, produce delle piccole persone.
La gravidanza, o più specificatamente, la decisione di proseguire con una gravidanza, dovrebbe essere sempre frutto di una scelta della persona che quella gravidanza la contiene.
La genitorialità, invece, può non essere sempre frutto di una vera e propria scelta, a volte ci si trova ad essere persone adulte di riferimento.
Genitorialità deriva dalla persona che genera. Ma cosa bisogna generare per essere genitori? È possibile ridurre tutto alla sua sfaccettatura più letterale e biologica o possiamo dirci che è qualcosa di più significativo quello a cui stiamo pensando?
E per essere figure genitoriali è davvero necessario il possesso di questa piccola persona?
Ogni persona ha un’idea di cos’è un genitore, per me ad esempio significa una persona di riferimento, una persona che sappia di casa, una persona che mi accolga nel mio tutto senza giudizio.
Per crescere una bambina ci vuole un intero villaggio
Recita un vecchio detto africano. Ma non ci sono solo le piccole persone di cui ci si può sentire madri, padri, genitori. L’idea che la realizzazione personale passi dalla scala mobile relazionale* è qualcosa che dev’essere superata.
Ma se stiamo piano piano superando lo stigma delle persone che decidono di non avere figli sento che ancora ci perseguita quello che dedichiamo alle persone cosiddette “single”. Persone definite sole esclusivamente perchè non sono all’interno di una relazione romantica.
Ma come non esistiamo solo in questa dimensione, non abbiamo solo il potere di procreare, abbiamo anche il potere di creare. Creare idee, progetti, soluzioni. Creare sogni, spazio, lotte. Creare diritti, comunità e nuove narrazioni. È tutto nelle tue mani.
* scala mobile relazionale: costrutto sociale secondo il quale le relazioni per essere significative devono seguire un iter ben preciso, pena la distruzione del percorso fino a quel punto conquistato. La scala mobile prevede: incontro, innamoramento, sesso, convivenza, acquisto di una casa, matrimonio e infine figli.